Giuseppe Di Stefano. Voglio una vita che non sia mai tardi” di Gianni Gori, Zecchini Editore, 2017

Mi sono occupata della correzione delle bozze.

Il tesoro scoperto per caso: la voce di Giuseppe Di Stefano, il tenore che ha incarnato in un lampo di vita e nella fragranza naturale dello smalto l’anima popolare di un nuovo “recitar cantando”. Non è stato solo la voce di soavità ammaliante in una pleiade di grandi cantanti e in quel divismo dell’Opera tanto avvincente quanto le storiche passioni sportive del tempo. È stato il tenore più amato dal pubblico di tutto il mondo — nella buona e nella cattiva sorte — anche per la straordinaria comunicativa, l’innata simpatia, la generosità, lo slancio istintivo e temerario con il quale aveva gettato il cuore (e la voce) oltre l’ostacolo di un repertorio sempre più vasto ed insidioso. Gli si rimproverava aspramente di aver bruciato nell’arco di un decennio le sue qualità assolute di “lirico”, di aver consumato troppo presto la sua carriera, come del resto aveva fatto la sua leggendaria partner Maria Callas.  
Di questo eccentrico cantore della “dolce vita” Gianni Gori ripercorre l’avventura umana ed artistica nel segno della Leggerezza. E ne fa un ritratto narrativo che muove proprio dalla leggerezza degli esordi di Pippo e chiude con il ritorno al suo primo e ultimo amore, fra l’operetta e la grande canzone. Riemergono da queste pagine non solo le purezze vocali della gioventù, ma anche, filtrate dalla cronaca e dalla storia, le emozioni che il tenore dalla “vita spericolata” ha saputo sbalzare nelle interpretazioni e negli affetti dell’ultima stagione. 

Con una Posfazione di Adolfo Vannucci

Giuseppe di Stefano. Voglio una vita che non sia mai tardi di Gianni Gori